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Le poesie
PENSIERI  NOTTURNI

Uno sprazzo di luce fioca
Penetra dalla porta aperta.
Attraverso il balcone, chiuso,
il ticchettio della pioggia.
L’ululare del vento a raffiche,
ha interrotto il mio sonno.
Mi giro e rigiro nel letto;
sono solo le due e mezzo.
Mi riaddormenterò?Quando?
Comincio a divagare:
nell’orto il muro caduto,
il figlio senza lavoro,
assicurazioni, tasse, spazzatura
e quant’altro da pagare ancora.
Poi ad un tratto il sogno fatto.
Com’ero felice tra tue braccia:
carezze, baci…dolci parole.
Inebriato in quell’estasi soave
Gli occhi si richiudono beati.


IL  MONTE  STELLA

O monte, ti stagli contro il cielo.
Sui tuoi verdi pendii sino a valle:
boschi di castagni, di larici,
lentischi, ginestre,mirtilli,
contornati dalle felci;
più giù ulivi, fichi, vigneti
e tra essi qualche orto.
Si odono, di giorno, le gazze,
le ghiandaie, il tubare delle tortore,
gorgheggi di cardellini, fringuelli,
il garrire delle rondini,
il cip cip di passerotti in amore;
di notte il canto dell’usignolo,
il gracidare delle rane nello stagno,
il fruscio dell’acqua nel torrente.
Ecco! Son qua a rimirarti giulivo
Dopo tanti anni di peripezie.
Ma negli occhi un velo di tristezza:
non c’è più la mia cara compagna:
un male crudele l’ha ghermita.


LA  VAPORIERA

Splendida valle,col tuo rio,
più non vedi il fumo mio.
Il villan non agita la mano
A salutar verso i vagoni   
Trainati dal fratel maggiore.
Altro fumo acre or respira
Mentre rompe la fertile zolla
Ha smesso di usar gli scarponi
E non netta il sudor col dito.
Non bagna le sitibonde labbra
al murmure candido ruscello.
Pur se poco tempo è passato
Oggi la nostalgia gl’impone,
sognando, di vedermi su l’erta
sbuffare con l’innocuo pennacchio
per ritrovar la perduta pace.


PENSIERO  NOSTALGICO

Nella valle il fischio del treno echeggia
E la neve sugli alti monti biancheggia,
mentre il pensiero mio vola lontano
e mi ritrovo a stringer la tua mano.

Rivivo l’attimo in cui t’incontrai
E ricordo con quanta tenerezza t’amai.
Nei tuoi grandi occhi ti guardavo;
man nella mano viverti accanto sognavo.

Dura e triste realtà ti portò via
E di tanta felicità sol nostalgia
D’un breve incontro è ormai lasciata
A dirti, cara, che ti avrei adorata.


C’ERA UNA VOLTA……

C’era una volta…..cominciano così le favole. Con le stesse parole inizia il racconto dei tempi andati. Son trascorsi pochi anni,ma quante cose sono cambiate!
Fino a circa cinquanta anni or sono vivevo a S. Mauro Cilento, un paese di circa 1.100 anime alle pendici del Monte Stella , costituito da due frazioni, Casalsoprano e Casalsottano, e la piccola borgata d Mezzatorre, in riva al mare. Una impercettibile rivalità esisteva tra gli abitanti delle due frazioni. I ragazzi quando uscivano dalla scuola cominciavano a bisticciare contendendosi una ipotetica superiorità e finiva in sassaiola: ogni tanto qualche ferita alla testa vi metteva fine. A Mezzatorre andavamo sulla spiaggia ampia e libera.
Poi ho girovagato per l’Italia da carabiniere e, quindi, da ferroviere. Adesso vivo in un paese, sempre cilentano.
Ragazzo pascolavo i buoi, le caprette, badavo agli orti, spigolavo, raccoglievo i fichi, l’uva, le olive. Di sera a lume di candela alimentata ad olio i compiti scolastici. La terra e le bestie erano nostre: ero più ricco di chi era a colonìa, ma il lavoro era lo stesso.
La macchia mediterranea rigogliosa, verde, viva, si estendeva regina per essere ammirata e venerata dai boschi di castagni a monte sino alle terre coltivate a valle. Greggi di capre vi pascolavano.
Ginestre, erici, elci, ontani, querce, lentischi, mirtilli ……la adornavano.
A seconda dell’habitat e delle stagioni, falchidi, donnole, volpi,tassi, lepri, ghiandaie, gazze ladre, usignoli, capinere, cinge, cardellini, pettirossi, tordi, merli, beccacce………vi erano di casa.
Fin da ragazzi andavamo a caccia. Carnieri venivano riportati a casa  sempre con qualcosa dentro. Le prede arricchivano le mense: non esistevano macellerie. Si cacciava durante l’intero anno con o senza permesso e la selvaggina abbondava
Arrivarono i pesticidi: uccelli venivano trovati morti per terra.   DDT: addio rondini..
Le mucche sostituirono le capre: cominciarono gli incendi. Le capre pascolavano in alto mangiando rami, le mucche per terra mangiando erba tenera.
In aggiunta nel bruciato crescono gli asparagi, fonte di guadagno per alcuni “cittadini”. Altri cominciarono ad arrivare in macchina a raccogliere funghi, a bivaccare lasciando sul terreno, rifiuti e cartacce o borse di plastica.
Fu istituito il Parco Nazionale: tante promesse. Pubblicizzazione servita al dilagare del cemento ed ad introdurre illeciti guadagni. Illusorie promesse di risarcimenti da danni causati da selvaggina (cinghiali).
Dettano norme e vigilano ambientalisti che non hanno mai visto un’alba attraverso i rami di un albero e che devono consultare un’enciclopedia per sapere cosa sono, innesto, potatura, talea, germoglio, rivangare, zappettare e quant’altro.
Non vi è più chi difendeva di fatto la natura che gli dava da vivere; chi  a sera rientrava con la schiena curva quando già brillavano le prime stelle pronto a lasciare all’alba il letto per incamminarsi con la zappa sulle spalle.
Tutto è cambiato: lungo la litoranea cemento, spiagge riservate, droga, lungo la provinciale a monte
cenere, cenere e cenere da incendi continui ad opera di piromani ( o di  parti interessate per fonti di guadagni? ). Gli alberi non sono più un’arginatura a frane e massi;  precipitano costituendo un pericolo continuo.
Ed ecco che per rivivere l’ebbrezza del passato bisogna contentarsi di sogni che svaniscono al risveglio.
Cambieranno di nuovo le cose? I nipoti potranno di nuovo ammirare quelle bellezze?
Per noi ed i nostri figli è impossibile. Ci vogliono anni perché ricresca “ la macchia “che gli incendi divorano.





SULLA SPIAGGIA DI SERA

Un tramonto in riva al mare,
In un angolatura una lingua di terra.
Qualche nube all'orizzonte
che copre parte del sole,
stagliandosi contro il cielo.
La sua scia rossastra
che si culla sul lieve ondeggiare
delle sue azzurre acque
dal largo sino alla riva.
Passeggiare sulla rena.
Cercare e trovare una conchiglia
dalla forma un po' strana.
Un sorriso sulle labbra,
un dolce pensiero vola
verso chi ti è caro e lontano
sulle ali di un bianco gabbiano.
.
PENSIERO
.
E' quasi finito un giorno.
Molti onomastici,
molte festicciole familiari.
In qualche casa una torta,
un brindisi con spumante.
Abbracci, auguri,
guance baciate.
Amici solo virtualmente, vorrebbero esserci,
partecipare alla gioia, rubare un bacio
leggermente intimo:
guardare lontano
desiderosi di qualcosa
irraggiungibilmente bramato.
Realtà: un pc ed un muro davanti

NEL SILENZIO
.
Svegliarsi di notte,
uscire sul terrazzo.
Mirare le tremule stelle
nel cielo oscuro.
La pallida luna
si è affacciata
da dietro la collina.
Ti senti solo nell' immensità.
Nessun vago rumore
aleggia nell'aria fresca.
Aguzza la vista,
nell'ombra si stagliano
le chiome degli alberi
lungo la collina.
Tendi l'orecchio:
mormora il ruscello
nel canale a valle.
Il pensiero vola nell'etere
verso chi ti ha lasciato,
verso chi ora vorresti vicino.
La tristezza ti assale.
Il gracidare di una rana.
il guaito di un cane,
il dolce canto
di un usignolo nei rovi,
il cri cri dei grilli
rompono l'incanto.
Anche nell'oscurità
la vita continua.
Torni al letto solitario;
l'animo è più sereno.
Più tardi riprenderai
il tuo cammino quotidiano.
.
SULLE ALPI
.
Un ruscelletto mormora incanalato.
Si congiunge al torrente che rumoreggia
mentre tra sasso e sasso spumeggiante
scende nella gola sino a valle.
L’acqua limpida, fresca e tremula
Invita a tendere le mani a coppo
Onde raccoglierla e rinfrescarsi il viso
Imperlato di gocce di sudore.
Sul nastro nero dell’asfalto, passeggiando,
alzo lo sguardo ammirato e guardo:
quasi sulla cima della montagna
lungo il costone lastre di ghiaccio.
A destra ed a manca verdi abetaie,
castagni coi ricci penzoloni dai rami
e qualche intrecciata boscaglia
Tra gli alberi un erto sgombro canale,
sopra il manto erboso la seggiovia.
Il cielo è un manto azzurro.
Non senti una radietta, una voce;
regnano solo tranquillità e pace
.
‘A TRUPEIA
.
Me pare ca ra cocche ghiuorno
Tutt’ e pomerigge a via ri tre
S’appresenta cu truoni e lampi.
Pare ca succere o finimunno.
Cuogl’ i panni , arriva a trupeia
Po viri ca se scatena a tempurale:
l’acqua scenne a catenedde,
e vie parene iumaredde,
u vaddone straripa e allaga
terre , cantine e pianterreni.
Massimo mezz’ora e tutto passa.
Primmo stivi surato ncanuttiera ,
mo’ t’ara mette ‘a maglietedda.
Esse n’ata vota u sole cauro,
Mittite ra capo momm’a prima.
A gaddina torna assé e rozzola
Int’a rezza ru gaddanaro,
aucieddi tornano a cantà,
i ronnene aute a vulà.
.
A VEPPETA
.
Na bella matina primo r’assé u’ sole
T’aize , te vieste, te lave e po’….
Si penzionato,n’ara je a fatia’.
Mamma mia come aggia passa’ ‘a jurnata?
Nuvule nun ce ne so’, è bontiempo
Mo me ne vao a fa ‘na passiata……
Già ma stammatina addo me ne vao?......
Assimo e po me decido.
Nanti a ‘u pertone sulo sulo
‘na guardata a destra, n’ata a sinistra.
Jamuninne ra chisto lato.
Pa via nnun c’ nisciuno ancora.
So arrivato fore a u paese.
Chiano chiano guardo attuorno.
Nun c’è na terra fatiata
Ste biti non so state putate:
sotta nce so sulo cresciute erve;
aspredde, carduni, ajete, cardogne
e puro nu gruppo re spine.
A zappa, puru si è a mutore,
te stanca e te fa surà.
Viri cocche chianta re fico,
Sotta nc’è chino r’ardicule.
A ulive: nisciuno ‘a cote,
so tutte pe’ terra into a l’alatri.
Po’ nc’è cocche bella cerza:
‘e glianne so spase miezzo a via:
na vota se cugliano una a una
into a nu panaro grussecieddo
pe le purta a mangia’ a li puorce.
So arrivato a u’ bivio
Saglio tre o quatto grara
Fatte cu manechiane re preta.
Me trovo nnanti a nu piscone
Nc’è na bella spaccatedda;
vire into a na canna spertusata
scorre sempe a fontanedda.:
l’acqua è chiara e fresca.
Metto i mano a cuoppo e bevo.
Penso: è l’unica cosa bella
miezzo a tutto stu squallore.
.
PASSIATA RE SERA
.
E’ bello a sera tardo a fa ‘na passiata.
Te nne vai sulo sulo nsnta pace.
Nu poco guard’ e stelle spase
Sotta a u cielo scuro,
nu poco ‘e luce ri paisi
spase comme a’nu presepio
ncoppa e cuozze inalberati.
Po’ guarde inta a l’erva spasa
Mmiezzo a l’uorte abbandonate:
vire tanta luciarelle appicciate
E dopp i ‘nu sicondo stutate,
so tanta catecatascie zeculedde
Ca se spostano senza e se fermà.
Appizza aurecchie, nfunno a u vaddone
Siente l’acqua chiano murmuria’.
Ogni tanto canta ‘na ranonchia.
Se fanno, sente puro a cuccuvaia,
u cucco e u riscignuolo.
Che quiete, che pace, che delizia,
nu ntiene proprio voglia
re turna a casa e re te je a curca.
.
VOGLIA DI SCRIVERE QUALCOSA DI DIVERSO

Oj vulesse screve cocche cosa in “cilentano”. Nce provo.
Quanno nascietti, mamma addeventao nata vota prena doppo quatto misi. Allora me crescietti nu poco allattato da Zia Ines, nu poco ra Vira ru marchese, nu poco cu latto re cioccia e po’pupatelle re zuccaro. Forse pu latto re cioccia a capo mia è accussì. Ncera a guerra quannera zico. Scarpetedde fatte ra u scarparo cu mpigna e sola, vestetieddi cusuti ra nu sarto. Capputtieddi arrangiati a bierno. R’estate si ia scauzi e into a terra i rizzuli pungiano e se nfizzavano sotta i pieri, si po erano spine peggio ancora. I matarazza erano re scoie re granurinio, si se semmenava, si no re paglia re grano, i lietti tavule de legnamo nzimma a travacche re fierro. A culazione re vierno pane e uoglio o fico re scarto seccate e nfurnate., r’estate pane e pummarole.A miezzo iorno pasta cu fasuli, o ciciari o nemiccule o sulo cu salsa re pummarole. Int’a u zuco, fino ca ncerano, ossa re custate, cutenelle re puorco sotta sale, o na gaddina vecchia e certe bote cocche piezzo de carne vaccina quann’era a festa..o si caria nu voie e s’acceria. U chianchieri appennia vicino a na chianta pu scurcia’ e po’ u tagliava a piezzi e vennia a carne stesso dà. Spisso se cucinava menestra re cecorie, cavuli, scarole.
A sera cocche aspredda tennera e aiete selvatiche scaurate e sfritte, vruocculi re rape, patate scaurate o fritte re vierno, r’estate sempe nsalata re pummarole, cipole e cetrola.
Chero ca se facia, mo vu dico.
A matina lavata re faccia into u vacili cu poco acqua pecchés’aia je a piglia a funtana a u iome.’Na sciacquata appruno senza sapone e chesta era a pulizia. Po’ a scola. Quanno se turnava, a pasce i vuoi o i crape cu acqua viento o sole, oppuro a racquà l’orte, a zappulia, ncanna, insomma nu poco re tutto.A sera cu a cannela a uoglio malamente se sturiava.
Che ne sano chisti re mo ca i biri eleganti pe nanti a i scole a chiacchiaria’ e a tutto pensano meno ca a sturia’: nu maneiano a zappa,” povere criature”. Pecche’ ana patesce. Nce vole a brioscina, u panino mbuttito, a banana, o succo re frutto, l’acqua minerale. Tanno io vevia a lato a i vuoi into a u iome pecché nun ncia facia arriva’ a casa.
Viata a loro, che ne sano? Si no stessero chiu assai nzimma a i libbri. Tanno nun se scioperava e si non se sturiava, schiaffi, cauci o curriate. Ste criature mo’ nun se pono tucca si no se va ngalera e t’ara sta citto si aizzano a voce…………viat’a loro

RISVEGLIO A TAORMINA

E' un mattino un po' cupo.
Il sole, tra una tenue foschia,
sta per affacciarsi sul golfo.
Oltre la strada, in pendio,
alberghi e ville contornati di verde.
Abbondano: elci, abeti, aranci,
cespugli in fiore sui muri.
A destra, in alto, sullo sfondo,
l'Etna si erge maestoso,
imbiancato di candida neve.
In basso, lungo la riva,
la stazione e susseguirsi di paesi,
lungo il litorale sabbioso
si infrangono ondate azzurrine.
Spettacolare, magica visione
di una natura selvaggia.
Lampi, tuoni, cade la pioggia.
L'estasi contemplativa ha fine,
subentra cupa la malinconia.

SOGNO NOTTURNO

Rinaldo, il prode, pinza in resta,
sulla porta s’affaccia con la testa,
ed al poveraccio, che guarda con terrore:
“mi mostri il suo biglietto per favore”.
Quel che s’era tutto spaventato,
or emette un gran sospiro, sollevato.
Ma, ahi me, la gioia dura poco,
il controllore gli occhi ha messo a foco.
Lieto, un sorriso sul suo labbro appare;
soddisfatto, ha notato che non è regolare.
La prima fermata non è stata effettuata,
e, misero, è al viaggio dell’andata,
col biglietto che il dì prima ha acquistato.
Contestazione, pagamento non effettuato,
per redarre con calma un altro rapporto
tocca dir addio ad un’ora di diporto.
A sto punto apre gli occhi sbigottito,
al buio, braccio teso, punta un dito.
Accende la luce, guarda intorno:
“possibile sogno ancor andata e ritorno?”
Rinaldo, amico mio, alla ferrovia non pensare
Se la pensione a lungo vuoi gustare.
Stanotte, sognar, calmo, potevi lo stufato
Che il solerte cuoco da ieri ha preparato
Per festeggiare con gli amici in compagnia
L’inizio della tua quiescenza in allegria.

_____ A Frinco (AT) 26.3.1981 per la messa in quiescenza
Del contr. Viagg. Sup. MUSSO Rinaldo__________
AI NEO PENSIONATI (Accamo, Beccaria, Bacchiarello, Germone, Negro, Bruno, Bertino G., Bertino F., Voarino, Bellino e Balbo)
Odi il fischio, si avvicina,
nella nuova stazioncina,
con l’Accamo dirigente,
che la scopa di già ha in mente,
con Beccaria gran pinacolista,
Bacchiarerello sorridente e fantasista,
in coda Germone, il buontempone,
è arrivato completo il carrozzone.
Bruno, in testa al marciapiede,
pronto al lancio su un sol piede,
gli occhi sgrana, vuol gridare
ed infin sta per scattare,
ma lo ferma il buon Bertino:
“capo, sa pensiamo allo spuntino,.
Giacché manca Mazzarella,
la festa, oggi, è ancor più bella”.
Là, fra lazzi, pane e vino,
si festeggia il gran Bellino.
Gli antipasti ha divorato,
gli agnolotti e lo stufato.
“Basta”! la pensione è traditrice
Ma di fronte a una pernice!
Alla dieta, ci pensiamo
Però il dolce ora prendiamo.
Giunta è l’ora del discorso,
alla memoria Bruno fa ricorso.
In un angol Giacomino
Sfoggia sempre il sorrisino.
Per contro Voarino neo ci pi vu, alza la cresta ancor di più.
Sovrintende tutti il Negro,
giocondo e mai allegro.
Solo io, che sfortunato!
Proprio adesso relegato
Son nell’ospedale a immaginare
Come l’augurio posso a voi inviare.
“Lunga sia la quiescenza
Sopportate con pazienza
Questa vita regolare
Che ormai vi tocca fare”.
Al Bertino Felice, dicitore,
beneamato ambasciatore,
ho affidato questa mia
perché a tutti letta sia..

_____________Ceva, 28.10.1979________
IN OSPEDALE (a Ceva)
Suor Maria Letizia è gioia,
a nessuno mai dà noia.
Al mattino tutta lesta
Con Prinotti di già in testa,
Piccardi, Mainero e Basso,
Marino e Sappa di buon passo,
se ne va per le corsie
non per recitar le litanie.
Tra cartelle, lastre e diagnosi,
di ognun sente la prognosi..
alle diete bada attenta
e del mangiar poco è contenta:
non vuol giammai invidiare
chi a piacimento può sbafare.
Poi, per due ore non la vedi,
ma alle cinque, cosa credi?,
è già in gir da l’altre contornata,
a dar formaggio, prosciutto e una patata.
Quando, poi, son sett’ore
In corridoio con gran fervore
Per la platea intorno riunita,
sgrana il rosario tra le dita.
Alla fin buona notte augurando,
sta al nostro domani già pensando

____________scritta il 25.10.1979__________

L’ULIVO RECISO

.

Il cielo nuvoloso è grigio,
la cima del monte avvolta nella nebbia.
Di fianco all’orto, a sinistra,
i vicini hanno reciso il tronco
di una vetusta pianta d’ulivo.
Ormai era improduttiva.
Si svilupperà un germoglio.
Quella chioma, a cupola verde,
non si staglierà, al mattino,
dietro le tremule canne
al soffio del venticello primaverile
o sotto la pioggia invernale..
La motosega sta stridendo,
morde ed appezzetta i rami
che arderanno nel camino.
Uccellini passate oltre:
il vostro rifugio è crollato.
Avete un’altra pianta vicino.
Quella sarà, invece, per me
un malinconico ricordo.
La cieca ignoranza ha distrutto
Un monumento della natura.
.

NELLA NOTTE

.

E’ notte, tutto è buio.
Apri il balcone:ascolta :.
a valle il mormorio dell’acqua
scorrente nel ruscello;
in una siepe di rovi,
il gorgheggio soave
dell’usignolo in amore.
di fronte osserva luccicare
i lampioni delle strade deserte
dei paesi adagiati sulla collina:
sembrano incantevoli presepi;
il cielo ammantato di stelle,
la pallida luna verso il suo quarto,
lucente lama di una falce.
Dal cuore battiti frementi
Diretti ad una stella splendente
Perché li porti appassionati
Ad un amore lontano
.

PENSIERI

.

Luci dell’alba
Cominciate a destarmi.
Addio al mio sogno!
Era là,nell’angolo.
I nostri occhi si fissavano.
Due dita sulle labbra
Inviavano un tenero bacio.
Un sorriso abbozzato
Manifestava la gioia.
Estasi dolcissima
Svanita nelle realtà
.

A ROSSELLA ( PER IL SUO COMPLEANNO)

.

Domenica, giorno di primavera.
Dalla collina si affaccia il sole.
I suoi raggi tiepidi e dorati
Inondano il verde dei boschi.
Un’affacciata sul terrazzo
A respirare l’aria balsamica..
Eccomi davanti alla tastiera.
Si presenta la bacheca.
Il dito clicca sui compleanni.
Appare il tuo viso,
un sorriso smagliante.
Tra le braccia un fascio di fiori.
L’oro dei raggi nella stanza,
il verde sulle colline intorno
sono offuscati dal tuo fascino.
Oggi avrai intorno .tanti amici.,
Leveranno i calici schiumosi,
in tanti, cliccando , unendoci al coro,
virtualmente: AUGURI ROSSELLA.
.

ALL'AMICA MARIA GIOVANNA ( COMPLEANNO )

.

Una stanza, un tavolo,una torta;
candeline, ogni anno più una.
La mamma l’ha preparata,:ora la guarda, la fissa.
Non la vedono più i suoi occhi.
Un velo:dietro appaiono i ricordi.
Stesa sul letto…….le doglie, l’ultimo sforzo,
il dolore soffocato in gola,
il sospiro di sollievo:è nata!
Pochi minuti, un’eternità:
la sua creatura è là, al suo fianco.
Versa copiose lacrime di gioia
Un soffio, le candeline accese si spengono
insieme al fragoroso battimani.
La visione è scomparsa..
Un abbraccio, una carezza:
insieme agli amici:AUGURI..
Ricompare la visione:
amorevolmente le mani
accarezzano tremanti
quel piccolo visino
.
LA TEMPESTA

Nuvoloni coprono il cielo, vento, lampi, tuoni.
Sta arrivando, si sente lo scroscio.
Ancora un lampo guizza nel cielo.
Un tuono cupo rimbomba;
viene giù a catinelle,
zampilla sui tetti incurvati.
La via diventa un torrente,
l’orto un pozzanghera.
E’molto violenta, tempestosa,.
di passaggio, pochi minuti.
Uscirà di nuovo il sole.
Torneranno: il passerotto sul terrazzo
a cercare, zampettando, un briciola
di pane sparsa sul pavimento,
la gallina a ruspare tra i sassolini,
gli uccellini faranno sentire
il loro canto festoso.
Un raggio di speranza appare
per rimarginare al pari
la ferita di un cuore trafitto
.

IN VIAGGIO

.

Il treno corre veloce in un mattino assolato.
Da un lato: sprazzi di mare,
distese di ulivi, casette tra giardini,
qualche pino su ripidi scogli,
un paese ai piedi di un masso enorme;
dall’altro lato:verdi pianori,
circondati da monti o verdi colline
Il mare, calmo, è una distesa
profondamente azzurra. fino all’orizzonte,
contrasta col rosso dei tetti,
col verde delle campagne.
Qua e là piante in fiore:
arriva la primavera siciliana.
A ridosso della scarpata
Fichi d’india o verdi arbusti,
o grigi scogli sull’acqua limpida.
Una galleria: è sparito tutto.
Il tuo volto dolce e lontano
Non si sovrappone più al paesaggio,
cosparso di tante meraviglie:
è lì sulla nuda parete della carrozza
a ricordarmi la nostra felicità perduta.
Crudele destino che ti ha ghermito
.

LA MAMMA


Il I° novembre sono davanti alla tomba, muri di pietra con tetto ad embrici fatta costruire dal mio bisnonno. E’ l’unica fatta in tal modo, poco elevata senza possibilità di addobbi, quasi un monumento come struttura..E lì’che sei sepolta..In un marmo appoggiato al muro incastonata la tua foto. Vengo là e soffermandomi ricordo cosa facevi per noi 12 figli. Uno per mano ed uno nella culla sulla testa dal paese alla campagna: un’ora e mezza a piedi lungo la mulattiera che si inerpicava per la collina..Ogni tanto una pausa fermandoti in piedi a placare il sopraffiato in salita.
Arrivata a casa una ramazzata, cucina, ed a sera rammendo a lume di candela ad olio. Di giorno avevi lavorato nella terra secondo riuscivi a fare nelle diverse stagioni: raccolta ulive, nell’orto semenzai, piantagioni e raccolta prodotti, raccolta fichi, ecc.- Quanti sacrifici.
La vita mi ha tenuto lontano da te:studio e poi lavoro.
Ma per quel poco tempo come scordare le carezze ed i baci da piccolo, le volte in cui mi sottraevi a schiaffi e calci di papà che arrivavano anche a sproposito.
Quando andavo d’inverno a pascolare i buoi, ti assicuravi che avevo in una tasca un biscotto di pane e nell’altra i fichi secchi, “di scarto perché più piccoli”, passati in forno per fare colazione ed in un secchiello ricavato da una scatoletta con un manico di fil di ferro carboni ardenti: servivano ad accendere un fuoco per riscaldarmi sotto un capanno naturale formato da un masso sporgente,.che serviva anche a ripararmi dalla pioggia o talvolta dalla neve.
Quando tornavo per le vacanze scolastiche, volevi che io impastassi e ti aiutassi a fere il pane perché riusciva migliore. Ripartivo e c’era sempre qualcosa da darmi, magari di nascosto, nelle tue mani.
Accoglievi i tuoi molti nipoti con un sorriso..A mia figlia , che porta il tuo nome, desti un oggetto-ricordo che gelosamente conserva.
Non eravamo poveri, ma mancava tanto eppure un’inezia porta dalle tue mani ci faceva felici e contenti. Il tuo amore era inesauribile ed avresti voluto darci tanto di più.
Ora sei qua in questa tomba..Le tue braccia. Non ci serrano più, le tue labbra non ci baciano e le tue tenerezze sono solo un ricordo indimenticabile.
Guardando in cielo idealmente ricambio il bacio che mi stai dando
.
.

LA PRIMAVERA

.

Laggiù' ecco il mandorlo,
ombrello di bianco fiorito.
Ascolta il canto dolce
della cinciallegra vicina al nido.
Senti il cinguettio dei passeri
che si rincorrono e baciano;
il tubare della tortora lontana;
il gorgheggio del cardellino sul gelso
nell'orto sotto casa;
il verseggiare del merlo nascosto
nel cespuglio di odoroso mirtillo;
Guarda: sfreccia larondine
uscita dal nido sotto il tetto,
qualche giorno ancora
e pigoleranno i rondinini.
Sull'ulivo, nell'intreccio dei rami,
si scorge il nido del cardellinio.
All'alba ha taciuto l'usignalo
a non far scorgere il suo rifugio.
ed ecco il raggio del sole
poggiarsi sul verde del castagneto.
La primavera ogni giorno
arride gioiosa a nuova vita.
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